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Affresco raffigurante frate Annio nella sala del consiglio del palazzo dei Priori.



Il leone con la palma attuale simbolo della città di Viterbo


Due leoni con l'acronimo FAVL a simboleggiare i quatttro castelli (Fanum, Arbanum, Vetulonia e Longula) che secondo la leggenda dettero origine alla città di Viterbo

La Sala Regia (o Erculea) e la Sala del Consiglio del Palazzo dei Priori di Viterbo riportano un ciclo di affreschi dei pittori Teodoro Siciliano e Baldassarre Croce, risalenti alla fine del Cinquecento e ispirati agli stravaganti quanto improbabili intrecci proposti dal frate domenicano Giovanni Nanni (detto Annio).

Questi, nato e vissuto a Viterbo tra il 1432 e il 1502, per dare lustro alla sua terra rivelò essere stato nientemeno che Noè a fondare il primo nucleo della città, costruendo quattro castelli: Fanum, Arbanum, Vetulonia e Longula. Da questa mitica tetrapoli arriva fino a noi l'acronimo FAVL, tutt'ora usato e per molto tempo inserito nello stemma della città, nelle bandiere, nelle sculture e negli affreschi. Nei suoi Commentari il frate espone la teoria secondo cui Desiderio, ultimo re dei Longobardi, volle riunire con una cinta muraria i quattro castelli rimasti separati per secoli. Per convalidare la propria tesi Annio non si fece scrupoli e presentò addirittura un'iscrizione incisa in caratteri longobardi, rinvenuta presso l'attuale Piazza della Morte e dimostratasi poi un clamoroso falso.

Francesco D'Andrea, frate francescano vissuto intorno alla metà del Quattrocento, nella sua Cronaca Viterbese narra un altro improbabile mito secondo cui Iafet, uno dei figli di Noè, dopo aver lasciato l'arca sul monte Ararat si sarebbe trasferito in Inghilterra. I suoi discendenti sarebbero giunti poi in Italia e due di questi, i fratelli Italon e Iaseo, avrebbero fondato nel territorio di Viterbo due città, Surrena e Civita Muserna.

Nonostante la loro originale e divergente immaginazione, sia Annio che Francesco d'Andrea concordano su un punto: il sito basilare della città di Viterbo è legato alla figura di Ercole, venerato anche presso gli etruschi col nome di Hercle. Il famoso eroe greco avrebbe fondato il Castello di Ercole dopo aver visto queste terre distrutte dalla guerra, e gli avrebbe donato un leone come simbolo di nobiltà e forza, leone che vediamo ancora oggi come emblema della città.

Seguendo questa scia di voli pindarici, troviamo che nel manoscritto inedito Istorie di Viterbo del 1615, attribuito al notaio viterbese Domenico Bianchi si racconta che Ercole, giunto nella zona dei Monti Cimini, per lasciare memoria del suo valore conficcò nel suolo una clava sfidando gli abitanti del luogo ad estrarla, ma nessuno vi riuscì. Quando Ercole riprese dal terreno la clava compì un prodigio: dal foro cominciò a sgorgare un enorme getto d'acqua che riempì un’intera valle formando l'attuale lago di Vico.

Quel che è certo è che sul colle del Duomo, dove ora sorgono la Cattedrale di San Lorenzo e il Palazzo Papale, ritrovamenti archeologici testimonierebbero la presenza di un insediamento etrusco, particolarmente attivo nel VI-V secolo a.C., dedicato proprio ad Ercole. Miti, leggende ed archeologia ci parlano dunque di una Tuscia dove la passata presenza di questo semi-dio è sempre rimasta viva, tanto da convincerci che il suo culto radicato nel tempo abbia persino ritardato la diffusione delle prime pratiche cristiane.

(Alessia Ambrosini)

 

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Opere consultate:
ANDREA SCRIATTOLI, Viterbo nei suoi monumenti, Stab. F.lli Capaccini, Roma, 1920.