Parte della pavimentazione originale della chiesa formato da marmo bicolore montato in diagonale.



Piccolo rosone in peperino posto sulla navata sinistra.



Particolare del fregio ad affresco dell'abside sinistra.


 Stemma nobiliare sovrastante la cappella posta nella navata di sinistra.


Madonna affrescata sopra l'altare della navata di destra. Si nota un piccolo intervento esplorativo di restauro.


Fuori dalla cerchia delle mura cittadine, in corrispondenza della Porta S. Leonardo chiusa verso la metà del XVI secolo, troviamo oggi i resti di quella che una volta era la Chiesa di Santa Maria delle Fortezze.
I ruderi giunti fino a noi mostrano solo l'ultima campata, contenente l'altare centrale e i due laterali, ma da un disegno topografico francese del XVI si evince che la chiesa doveva avere pianta pressochè quadrata, con un tetto a capanna emergente dalle mura.
Lo storico locale Scriattoli, nel suo libro “Viterbo nei suoi monumenti”, racconta che la costruzione della chiesa fu iniziata nel giugno 1514: sul luogo già sorgeva un'antica chiesetta, a sua volta costruita sui resti di una preesistente fortezza fatta erigere da Enrico IV (il re umiliato a Canossa). Pare lecito supporre che proprio da tale fortezza derivi il nome ereditato dalla chiesetta e poi dalla fabbrica cinquecentesca di “Santa Maria”, detta appunto “Delle Fortezze”.
Il progetto è stato attribuito a diversi architetti tra cui il Bramante e il Vignola, ma l'ipotesi più attendibile sembra quella del Pinzi, storico locale che cita come autore del disegno l'architetto Battista Di Giuliano da Cortona, mentre l'edificazione sarebbe frutto del costruttore detto Maestro Ambrogio di Bartolomeo da Milano.
I resti della fabbrica lasciano immaginare un'ampia aula di forma basilicale, rettangolare ma con poca differenza tra i lati, divisa all'interno in tre navate la cui diversa altezza non era visibile all'esterno, essendo coperta da un unico tetto a due falde. Le volte erano sorrette da alti e poderosi pilastri di ordine dorico, ricoperti da larghe lastre di peperino. La trabeazione era costituita da un fregio, racchiuso in una sobria cornice, recante una scritta sacra che doveva svolgersi lungo tutto il perimetro interno. Quanto descritto può essere ancora in parte rilevato da quanto resta della chiesa, mentre nulla rimane a testimonianza di come doveva essere la facciata. Il sopra citato Scriattoli riporta che la realizzazione dell'esterno della fabbrica non seguì il progetto originale che, rimasto parzialmente incompiuto, fu modificato intorno al 1570, quando l'accesso principale fu spostato dalla facciata est, in corrispondenza del quale passava la strada che collegava Viterbo con Roma, dopo aver attraversato la Torre di San Biele. Questa affermazione trova conferma nella chiusura di Porta S. Leonardo, avvenuta nello stesso periodo, che probabilmente ha causato la modifica della facciata.
La realizzazione del nuovo accesso, la cui immagine è giunta fino a noi grazie ad alcune foto antecedenti la seconda guerra mondiale, vedeva la facciata ricoperta di lastre di peperino come i pilastri all'interno, mentre il portone era incorniciato da un importante portale composto da due semicolonne di ordine dorico, poste a sorreggere una trabeazione che vedeva l'alternarsi di triglifi e metope, sulle quali sono riportate uno scudo, un'anfora, un bucraino ed un mascherone di gusto classico romano. Il timpano, archivolto, contiene lo stemma della famiglia Farnese, essendo in quel periodo legato pontificio a Viterbo il cardinal Alessandro Farnese, divenuto poi papa col nome di Paolo III.
Da un'altra foto possiamo vedere il rosone sopra il portale, decorato con una pregevole cornice in peperino a foggia di ghirlanda, con un grazioso intreccio di foglie e frutti, molto simile ai due rosoni più piccoli posti a dare luce alle navate laterali e fortunatamente giunti fino a noi.
Molti degli affreschi all'interno della Chiesa sono andati quasi completamente perduti.
Accanto alla Chiesa sorgeva un convento che fu concesso a partire dal 1577 ai frati Minimi di San Francesco di Paola, che vi rimasero per quasi trecento anni. Il Bussi, nella sua “Istoria della città di Viterbo” (1742) relativamente alla chiesa e al convento racconta: “è una chiesa molto frequentata da questo popolo, particolarmente ne' Venerdi di tutto l'anno per la divozione del suddetto S. Francesco, ove altresì si fa faesta nel giorno della Santissima Annunziata con fiera, e gran concorso di gente. Nel di lei Convento vi sono per ordinario 10 Religiosi”. Ciò testimonia la vitalità del complesso ancora nel corso del Settecento, mentre è riportato nelle cronache del tempo che nel 1861 chiesa e convento passarono dai Frati Minimi di S. Francesco di Paola all'Amministrazione del Seminario diocesano.
Testimonianze orali ci parlano della chiesa in buono stato di conservazione, consacrata ed in uso fino al 1940, chiamandola però col nome di Santissima Annunziata proprio per la fiera che si svolgeva sul suo sagrato.
La parziale distruzione ed il totale abbandono sono da imputarsi ai ripetuti bombardamenti subiti da Viterbo nel corso del secondo conflitto mondiale, probabilmente proprio perchè sorgeva in corrispondenza della via che portava a Roma, più volte presa di mira. Perduti completamente la facciata e tutto il corpo di fabbrica anteriore, la chiesa di Santa Maria delle Fortezze non è mai stata oggetto di ricostruzione.

(Alessia Ambrosini)

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Opere consultate:
A. SCRIATTOLI, Viterbo nei suoi monumenti, Viterbo, FAVL Edizioni Artistiche, 1988
LIDIA GREGORI, La cinta muraria, in «Il centro storico di Viterbo», Betagamma, Viterbo 2001, pp. 225-228.
PAOLO GIANNINI, Viterbo guida alla scoperta, Grotte di Castro, Annulli Editori, 2010