La chiesa di San Giovanni Battista è conosciuta dai viterbesi come chiesa del Gonfalone. Questo nome gli deriva dal fatto che fu fatta erigere dalla confraternita omonima per conservare il gonfalone della città. In precedenza la confraternita il cui scopo era di raccogliere fondi per liberare i cristiani prigionieri dei turchi nonché di provvedere alla dote di due fanciulle povere e di specchiata virtù della città, aveva la sua sede nell'antica chiesa di San Givanni in valle, situata sotto il colle del duomo. La collocazione della sede in luogo abbastanza decentrato e non molto comodo spinse i confratelli a deliberare nel 1664 di spostarla in luogo più consono. La prima pietra del nuovo complesso fu posta il 21 dicembre 1665 e la sua costruzione durò 10 anni, nel 1675 infatti vi furono trasportati i mobili e le suppellettili della primitiva sede. La facciata venne costruita in seguito per mancanza di fondi, essa venne appaltata nel 1725 e l'anno dopo era già ultimata. L'edificio, inizialmente era costituito da due ambienti separati, uno destinato ad oratorio per i confratelli e l'altro a chiesa vera e propria. Soltanto nel 1746, su progetto di Nicola Salvi, lo stesso che progettò la fontana di Trevi a Roma,  fu abbattuto il muro che li divideva e, con la costruzione di un arco sostenuto da due colonne, i due ambienti vennero messi in comunicazione fra loro. Al centro, sotto l'arco, venne sistemato l'altare maggiore progettato dallo stesso architetto. La facciata, barocca ad andamento concavo come la gradinata di accesso, si presenta divisa in due ordini ed  è rivestita con lastre di peperino. Sulla facciata campeggiano due stemmi: quello di Benedetto XIII Orsini e quello del vescovo Sermattei.
L'interno della chiesa è uno splendido esempio di ambiente barocco, senz'altro il più bello presente a Viterbo. Dopo l'abbattimento del muro che divideva i due ambienti originari del complesso, si provvide a costruire il nuovo altare in peperino, pietra meno costosa, e di usare il marmo solo per il ciborio ed il paliotto. I soldi risparmiati furono destinati ad affrescare le pareti ed il soffitto della parte adibita ad  oratorio. La commissione fu affidata a due artisti: Pietro Piazza e Giuseppe Rosi. Il primo doveva occuparsi degli ornati e delle prospettive mentre il secondo doveva produrre gli affeschi al centro della volta e sulla lunetta sul retro dell'altare maggiore. Il Rosi provvide ad affrescare sulla volta la nascita di Giovanni Battista mentre sulla lunetta rappresentò la scena della sua predicazione. Ad una delle estremità della cornice che racchiude l'affresco della volta è dipinto lo stemma della confraternita: una croce con il braccio dritto rosso  e bianco quello di traverso, alla parte opposta una stella ad otto punte contrapposta alla falce di luna è il simbolo distintivo del vescovo Abbati che in quel periodo era alla guida della diocesi di Viterbo. La lunetta di fondo è di autore ignoto, le caratteristiche pittoriche di questo affresco sono molto diverse da quelle del Rosi. Completano l'opera pittorica dell'oratorio sei riquadri monocromi sulle pareti eseguiti da Pietro Piazza. I tre sulla parete di destra rappresentano: l'angelo Gabriele preannuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni, Giovanni si ritira nel deserto, Giovanni inizia a predicare. I tre a sinistra rappresentano: il Battista indica Gesù come colui che viene prima di Lui, San Giovanni dice al sinedrio che non è Lui il messia, l'attimo che precede la decapitazione di San Giovanni ritratto in cella insieme a Salomè e ad una ancella. Forse questo ciclo era stato progettato a colori e poi eseguito monocromo vista la ristrettezza economica della confraternita. L'oratorio fu affrescato per primo, risale infatti al 6 aprile 1747 l'atto con il quale furono ufficializzate le committenze per la sua decorazione. Per mancanza di fondi occorrerà attendere il 1756 per proseguire l'opera ed affrescare la chiesa vera e propria. L'anno prima la confraternita aveva indetto un concorso per affidare l'incarico di affrescare la chiesa, erano stati presentate tre offerte da parte dei pittori Anton Angelo Falaschi, Vincenzo Stringelli e Domenico Corvi, ciascuno dei quali aveva presentato oltre all'offerta economica anche un bozzetto dei diversi soggetti che intendevano realizzare. I bozzetti furono approvati e giudicando importante che ad uno solo venisse affidato l'incarico di sovraintendere all'esecuzione dell'intera opera, in una riunione del 23 marzo 1756 fu stabilito che questo onere venisse affidato allo Stringelli. I lavori comunque subirono un forte ritardo sia per problemi sorti tra la confraternita ed i pittori, sia per una disputa tra lo Stringelli e Giuseppe Merzetti, l'artista incaricato di eseguire gli ornati della chiesa che non voleva attenersi al bozzetto presentato in origine. La causa civile che ebbe origine da questa disputa si concluse soltanto il 17 settembre 1756 e da essa uscì vittorioso lo Stringelli. A seguito di questi intoppi nel febbraio del 1757 la decorazione della volta non era ancora terminata ed in più alcuni confratelli contestarono l'opera giudicata carente nelle figure rispetto al bozzetto originario. La disputa fu risolta con l'arbitrato del pittore Stefano Parrocel detto il Romano, anche se originario di Avignone, che emise un giudizio favorevole allo Stringelli. La consulenza costò alla confraternita 26 scudi e novantacinque baiocchi più quaranta baiocchi per i pasti, non proprio una bazzecola. Nel libro delle spese della confraternita, questa uscita di cassa, riporta l'annotazione "per spese del tutto capricciose e superflue". Nell'affresco della volta coesiste l'opera di due pittori, allo Stringelli è da attribuirsi la Gloria dell'Empireo mentre le prospettive architettoniche sono del Marzetti. Del Corvi son invece l'affresco raffigurante la Decollazione del Battista, dipinta sulla lunetta che sovrasta l'organo, il medaglione sulla parete di destra raffigurante il profeta Isaia e quello sulla parete di sinistra il profeta Abdia. L'affresco della lunetta sopra l'altare maggiore raffigurante San Giovanni alla presenza di Erode è attribuito al Falaschi. Altra opera pittorica di tutto rispetto conservata nella chiesa del Gonfalone è lo stendardo. Durante la riunione del 14 aprile 1769, la confraternita deliberò di affidare allo Stringelli l'esecuzione dello stendardo processionale da dipingersi su entrambi i lati. La morte dell'artista, sopraggiunta il 1 agosto di quell'anno, ne impedì l'esecuzione che in seguito fu affidata a Giovan Francesco Romanelli. Lo stendardo riproduce sul davanti il battesimo del Cristo e sul retro Maria Santissima del riscatto (detta Madonna del Gonfalone) insieme a San Bonaventura. Secondo l'uso, giunto fino ai nostri giorni, lo stendardo è esposto con il battesimo del Cristo rivolto versoi la chiesa per tutto l'anno, fa eccezione il periodo che va dal 15 agosto (festa dell'Assunzione) fino al 1° novembre (festa di tutti i Santi) periodo durante il quale viene esposto e rovescio. Data l'importanza artistica della tela, nel 1663, fu realizzata da Francesco Ciaci, una copia per essere portata in processione e non rovinare così l'originale. Ai lati dell'altare maggiore, due figure monocrome, realizzate nel 1772 dal pittore Sebastiano Carelli, rapprentano la scienza quella di sinistra e la Religione quella di destra. L'interno della chiesa, a navata unica, presenta quattro altari laterali, sulla parete di destra possiamo ammirare nel primo altare due statue, una della Madonna Addolorata e l'altra del Cristo morto, nel secondo altare una pala con San Bonaventura ispirato dallo Spirito Santo. Nella parete di sinistra nel primo altare un quadro raffigurante l'annunciazione mentre nel secondo è conservato un crocefisso ligneo sulla cui origine non si hanno notizie.

(Angelo M. Ambrosini)

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Opere consultate:
A. SCRIATTOLI, Viterbo nei suoi monumenti, Viterbo, FAVL Edizioni Artistiche, 1988
ALESSANDRA PERUGI, Chiesa di S.Giovanni Battista detta del Gonfalone, in «Il centro storico di Viterbo», Betagamma, Viterbo 2001, pp. 91-49.
NORIS ANGELI, Il ciclo pittorico del Battista nella chiesa del Gonfalone di Viterbo, in «Biblioteca e Società», vol. LIII, n. 1-2, Viterbo 2006, pp. 33-58
NORIS ANGELI, Baratta, Ferruzzi, Salvi e Giardini, tre architetti e un orafo per la chiesa del Gonfalone, in «Biblioteca e Società», vol. XXXV, n. 3, Viterbo 1998, pp. 11-13